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Clamori dalla Colombia
Condannati due ex congressisti per corruzione
Associazione Nazionale Nuova Colombia / giovedì 18 giugno 2009
 

L’Associazione "Nuova Colombia" si propone di:
a) appoggiare e sostenere la lotta del popolo colombiano, delle organizzazioni politiche che si battono per la trasformazione in senso democratico del paese, e delle organizzazioni popolari di tipo sindacale, cooperativo e sociale;
b) promuovere campagne di informazione sulle vicende della Colombia, con particolare riferimento alla vita dei contadini, dei lavoratori e delle popolazioni indigene;
c) promuovere campagne di informazione e mobilitazione per la difesa dei diritti umani, dei diritti politico-sociali e delle libertà da ingerenze straniere dirette e indirette;
d) costruire momenti concreti di cooperazione e solidarietà con forze ed organizzazioni popolari impegnate nella lotta in difesa dei diritti sindacali, politici e umani, e per la trasformazione dei rapporti sociali ed economici nel paese.

Il 3 giugno scorso la Sala Penale della Corte Suprema di Giustizia
della Colombia ha condannato due dirigenti politici, Teodolindo
Avendaño e Iván Díaz Mateus, che erano accusati di corruzione,
offerta dal governo Uribe per favorire l’approvazione della riforma
costituzionale che ha reso possibile la rielezione presidenziale nel
2006.

Avendaño, l’ex rappresentante alla Camera per il Dipartimento del
Valle, è stato condannato a otto anni di carcere per i crimini di
corruzione ed arricchimento illecito, mentre a Díaz Mateus sono stati
comminati sei anni di prigione per concussione. Nel primo caso, la
Corte ha determinato che l’ex parlamentare ha ricevuto incentivi
economici per assentarsi nella sessione del Congresso in cui si
sarebbe svolta la votazione principale del progetto di rielezione
presidenziale; Avendaño, infatti, si opponeva al progetto, ed il suo
ritiro dalle votazioni ha favorito l’approvazione della riforma
costituzionale in funzione della rielezione.

La condanna contro Díaz Mateus è dovuta al crimine di concussione
(pressione su un funzionario pubblico), in quanto complice nel tentare
di convincere illecitamente la ex congressista Yidis Medina (da cui il
nome dello scandalo, “Yidispolitica”) a votare a favore del
progetto di rielezione presidenziale. Nonostante Medina avesse
annunciato che avrebbe votato contro nella Prima Commissione della
Camera del Congresso, dove il suo voto era decisivo, all’ultimo
momento ha mutato la sua decisione in favore del presidente Uribe, e
dopo qualche tempo ha rivelato di averlo fatto perché era stata
corrotta da un funzionario del governo. Di tale corruzione Medina ha
accusato l’allora ministro colombiano della Protezione Sociale, Diego
Palacio, e l’attuale ambasciatore colombiano in Italia, Sabas Pretelt
de la Vega , altro losco figuro coinvolto in numerosi processi e
scandali, che all’epoca dei fatti era ministro degli Interni e della
Giustizia. Mentre il Congresso colombiano è in procinto di approvare
un nuovo progetto di legge per proporre un referendum che garantisca
la possibilità al presidente Uribe di essere rieletto per la seconda
volta, si conferma il quadro criminale che era già stato tratteggiato
all’epoca dell’esplosione dello scandalo: il presidente si è
garantito la rieleggibilità con la corruzione e l’inganno. Un altro
scandalo, quello della “parapolitica”, dimostra invece le
pressioni dei paramilitari sui civili per garantire i voti alla cricca
presidenziale con le minacce, le intimidazioni, gli atti terroristici.

E per il partito di Uribe votano anche i morti, o la stessa persona
vota più volte, secondo il copione classico dei luoghi ad altissima
infiltrazione mafiosa. Dunque il governo Uribe è illegale, in quanto
ha ottenuto con la corruzione la possibilità di candidarsi, ed è
illegittimo, perché ha ottenuto la maggioranza dei voti (in un paese
in cui l’astensionismo si attesta intorno al sessanta percento) grazie
a minacce paramilitari. In questo bel quadro di “democrazia” il
presidente Àlvaro Uribe continua imperterrito nel suo ruolo, senza
accennare minimamente alla possibilità di dimissioni per i continui
scandali che lo coinvolgono, e senza che la cosiddetta comunità
internazionale dica alcunché.

Mancuso, ex capo paramilitare: “connessioni fra AUC e militari più’ scandalose di quelle con i politici”

Il capo paramilitare Salvatore Mancuso, dal carcere statunitense dove
è recluso da quando è stato estradato dalla Colombia, avverte il
presidente Álvaro Uribe che le prove sul coinvolgimento dei militari
colombiani con le /Autodefensas Unidas de Colombia/ (AUC), il più
grande e crudele gruppo paramilitare del paese che oggi perpetua con
altri nomi le sue attività terroristiche dopo il cosiddetto processo
di “smobilitazione”, “sarà più doloroso e traumatico” di
quello della “parapolitica”.

In una lettera inviata da Mancuso da un carcere di Washington al
presidente Uribe, comandante in capo delle Forze Armate della
Colombia, l’ex capo paramilitare afferma che “diventa sempre più
difficile dissimulare i vincoli delle Forze Armate, della polizia e
dell’/intelligenze/ con i diversi attori del conflitto”. “Ogni
volta di più l’evidenza, l’efficacia e la dimensione fuori dal comune
degli atti metterà in luce ciò che è inoccultabile”.

Salvatore Mancuso ha inoltre affermato che “inizialmente questi
vincoli potranno essere mostrati come casi isolati che non mettono in
gioco la responsabilità delle istituzioni militari, ma alla fine
sarà evidente che tutto questo non è sorto da decisioni individuali,
ma piuttosto da una politica di Stato”.

Mancuso, appartenente all’omonimo clan che ha profonde radici nella
’ndrangheta calabrese, ha avuto sempre rapporti preferenziali col
presidente Uribe, al quale ha persino regalato alcuni macchinari
agricoli; Uribe gli ha lungamente garantito l’impunità, salvo poi
concedere agli Stati Uniti la sua estradizione affinché non vuotasse
il sacco. L’ex capo paramilitare non ha gradito, e, nonostante le
minacce pervenute in Colombia ai suoi familiari più stretti, inizia a
raccontare gli inestricabili rapporti fra militari, politici e
paramilitari colombiani.

Mancuso parla esplicitamente di “politica di Stato”: ed infatti
è evidente la strategia complessiva del terrorismo di uno stato che
usa i paramilitari come arma contro la popolazione per ottenere
vantaggi elettorali, e sfollare contadini per consegnare le loro terre
alle multinazionali, garantendo a queste la sistematica eliminazione
fisica dei sindacalisti ed al governo l’eliminazione degli oppositori
politici.

Mancuso deve essere rimpatriato, raccontare quelle verità tanto
scomode al regime e poi essere castigato esemplarmente dalla giustizia
popolare, unica vera garante nei confronti delle vittime e delle loro
famiglie ormai asfissiate dal feroce cappio dell’impunità. E ad
Uribe, stessa sorte.

Il Congresso colombiano vuole riesumare le paramilitari “cooperative /Convivir/”

Il massimo organo legislativo colombiano, nido di paramilitari dal
colletto bianco, corrotti, trasformisti della politica e fedeli
rappresentanti/servitori degli interessi dell’oligarchia e
dell’imperialismo, sta discutendo un disegno di legge che, qualora
passasse, riesumerebbe le famigerate “cooperative” di sicurezza
privata “/Convivir/”.

Va rammentato che le /Convivir/, create a partire dall’11 febbraio
1994 con l’emanazione del decreto 356 sotto il governo
dell’ultra-liberista César Gaviria, furono false cooperative che
permisero la legalizzazione dei gruppi paramilitari e degli apparati
armati dei cartelli narcotrafficanti, con il pretesto della difesa dei
proprietari terrieri dalla guerriglia.

Il disegno di legge è il risultato di tre iniziative accorpate in un
solo progetto: la prima proviene dalla Superintendenza della
Vigilanza, la seconda è del senatore del Partito Uribista Luis Elmer
Arenas, e la terza è della ex ministra della Difesa Marta Lucia
Ramírez.

Questo percorso al Congresso è organico alla politica del regime
fatta di impunità e sdoganamenti dei paramilitari di Stato, al fine
di reinserirli non nella tanto predicata e cosiddetta “vita
civile”, ma in apparati privati di sicurezza che, con un manto di
legalità, svolgano molti di quei compiti propri della guerra sporca
di Uribe contro il popolo colombiano.

Questo sciagurato disegno di legge, già di per sé offesa
imperdonabile nei confronti delle decine e decine di migliaia di
familiari delle vittime del terrorismo di Stato, contempla anche
l’appalto al settore privato dei servizi di vigilanza -tra gli
altri- di carceri, aeroporti ed alti rappresentanti stranieri, nonché
la possibilità per le imprese di avere veri e propri dipartimenti
privati di sicurezza.

Uribe, che a suo tempo fu il principale promotore delle paramilitari
/Convivir/, attraverso i suoi lustrascarpe parlamentari cerca
disperatamente di diversificare il “portafoglio armato” a
disposizione del regime. In una fase in cui il buco fiscale è alle
stelle, la crisi e la recessione si fanno sentire pesantemente e le
forze armate sono alla corda per l’incessante agire guerrigliero e
gli interminabili scandali che le lacerano, è un imperativo. Ma
ancora più imperativo, per il movimento rivoluzionario e popolare
colombiano, è buttarlo giù e castigare dovutamente lui e la sua
cosca mafiosa che hanno usurpato la sovranità del popolo imponendo la
dittatura del terrore e del narco-paramilitarismo.