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Clamori dalla Colombia
Giudice minacciata di morte per aver emesso una sentenza contro colonnello
Associazione Nazionale Nuova Colombia / martedì 13 luglio 2010
 

L’Associazione "Nuova Colombia" si propone di:
a) appoggiare e sostenere la lotta del popolo colombiano, delle organizzazioni politiche che si battono per la trasformazione in senso democratico del paese, e delle organizzazioni popolari di tipo sindacale, cooperativo e sociale;
b) promuovere campagne di informazione sulle vicende della Colombia, con particolare riferimento alla vita dei contadini, dei lavoratori e delle popolazioni indigene;
c) promuovere campagne di informazione e mobilitazione per la difesa dei diritti umani, dei diritti politico-sociali e delle libertà da ingerenze straniere dirette e indirette;
d) costruire momenti concreti di cooperazione e solidarietà con forze ed organizzazioni popolari impegnate nella lotta in difesa dei diritti sindacali, politici e umani, e per la trasformazione dei rapporti sociali ed economici nel paese.

Con la prima sentenza a distanza di 25 anni dai fatti, la giudice Maria Stella Jara ha condannato a 30 anni di reclusione il colonnello Alfonso Plazas Vega, che nel 1985 aveva diretto il blitz militare contro la guerriglia del M-19 (Movimento 19 aprile) nel Palazzo della Corte Suprema di Giustizia a Bogotá, e che è stato riconosciuto come il responsabile della ‘sparizione forzata e aggravata’ di 11 persone.

A tutt’oggi, infatti, si ignora la sorte degli 11 guerriglieri sopravvissuti all’attacco (costato la vita anche ai sequestrati ed ai lavoratori della Corte) e visti uscire vivi dal Palazzo da alcuni testimoni.

Un caso emblematico per la storia giuridica del paese, che vede tra gli indagati l’intera cupola militare e della polizia di allora.

Nel corso degli anni la funzionaria è stata osteggiata nel suo lavoro dagli stessi apparati del regime colombiano. Dopo la pubblica lettura della sentenza le intimidazioni, arrivatele a partire dallo scorso anno ed intensificatesi all’inizio del 2010, hanno lasciato il posto a vere e proprie minacce di morte; la giudice ha infatti rivelato di aver ricevuto due biglietti in cui vengono espresse le condoglianze per la scomparsa sua e della sua famiglia.

Maria Stella Jara, madre di un figlio, ha sottolineato che la stessa polizia ammette che ci sono rischi elevati di un attentato: ha inoltre denunciato la latitanza dell’esecutivo rispetto alla sua situazione, e per questo motivo ha dovuto rivolgersi alla Commissione Interamericana dei Diritti Umani (CIDH), che lo scorso giovedì 10 giugno ha sollecitato il governo colombiano affinché “adotti tutte le misure necessarie a garantire la vita e l’integrità personale” della giudice.

In occasione del pronunciamento contro il congedato colonnello Plazas, il narcopresidente Uribe, accompagnato dal ministro della Difesa Gabriel Silva e dagli alti comandi militari, ha dichiarato che la sentenza “genera profondo dolore e mancanza di stimoli alle reclute delle Forze Armate che hanno il compito di dare sicurezza ai colombiani”.

A quale sicurezza si riferisce il narco-presidente uscente? Certo non a quella dei milioni di sfollati o disoccupati, o dei sindacalisti, dei leader popolari, indigeni, studenteschi o contadini sterminati dai paramilitari e dalle stesse Forze Armate che oggi fanno quadrato intorno a Plazas Vega.

Uribe difende pubblicamente i suoi complici, salvo scaricarli quando diventano pericolosi per la sua impunità. Ma si avvicina il giorno in cui dovrà pagare per i suoi crimini di lesa umanità.

Prosegue l’ingiusta detenzione dell’attivista Carmelo Agámez Berrio

Dopo l’ingiusto arresto del 15 novembre 2008 Carmelo Agámez Berrio, segretario del MOVICE (Movimento Vittime dei Crimini di Stato) rimane in carcere nonostante non esistano prove concrete a suo carico.

Carmelo Agámez Berrio è uno dei pochi sopravvissuti al genocidio perpetrato nei confronti della Unión Patriótica, il movimento politico di opposizione sterminato da esercito e narco-paramilitari tra gli anni’80 e ’90.

Nel corso della sua vita ha subito minacce e detenzioni, che lo hanno portato a dover vivere in esilio per diversi anni; nel 2006 la Commissione Interamericana per i Diritti Umani (CIDH) ha sancito nei suoi confronti alcune misure di protezione personale, per via delle costanti minacce di cui è stato vittima.

Il 13 novembre del 2008, in piena notte, cinque uomini in borghese, qualificatisi come poliziotti, sono entrati violentemente nell’abitazione dell’attivista senza nessun mandato della magistratura; i sedicenti poliziotti hanno effettuato una perquisizione senza riscontrare nulla e senza rinvenire Carmelo, che si trovava fuori casa.

Due giorni dopo Agámez si presentò alla procura di Sincelejo accompagnato dal suo avvocato; un magistrato lo interrogò per alcune ore e ne dispose l’arresto, nonostante si fosse presentato spontaneamente alla procura.

Attualmente, il difensore dei diritti umani si trova in carcere con l’accusa assurda di appartenenza a gruppi paramilitari, ovvero quei gruppi che lui ha costantemente denunciato e dai quali è stato dichiarato obiettivo militare.

Nei primi di giugno alcuni integranti del MOVICE sono riusciti ad avere l’autorizzazione per fargli visita in carcere e constatare la sua reale situazione, che ha dichiarato che la magistratura ancora non ha preso in considerazione il ricorso contro la carcerazione presentato dal suo avvocato oltre un anno fa; ha inoltre denunciato le costanti difficoltà che incontra per accedere alle cure mediche, a causa del duro regime carcerario cui è sottoposto.

Alla domanda su quale sia la situazione in cui vivono attualmente gli integranti del MOVICE, Agámez ha risposto testualmente “Ci restano principalmente tre possibilità: o ci uccidono, o ci arrestano, o ci sfollano”.

Ha inoltre chiarito la strategia del regime, che punta a limitare il lavoro di ricerca della verità e denuncia del MOVICE con l’obiettivo di confondere le acque e criminalizzare le vittime. Infine, l’attivista ha ricordato che con questo sistema è stato ucciso lo scorso 18 maggio un altro difensore dei diritti umani, Rogelio Martínez Mercado, che era stato descritto come un integrante del paramilitarismo.

Il quadro descritto da Agámez è chiarissimo: il narcoregime colombiano porta avanti la sua azione sistematica per zittire le voci di denuncia degli attivisti delle organizzazioni popolari e di difesa dei diritti umani; e quando non arriva la violenza istituzionale, ci pensano le squadracce paramilitari a finire il lavoro.

Oltre 10 i milioni di disoccupati in Colombia

Gli ultimi dati sulla disoccupazione in Colombia sono stati resi pubblici dal DANE (Departamento Administrativo Nacional de Estadísticas) il 30 di giugno scorso. Questo ente, che non è indipendente e che è solito “correggere” le stime che elabora in chiave filogovernativa, ammette, pur attraverso bizantinismi statistici (come il fatto di separare le cifre dei non lavoranti da quelle di coloro che si arrangiano alla giornata, con i lavoretti improvvisati, proprio a causa della loro condizione di disoccupati, in modo da far figurare cifre di minor impatto mediatico) che la disoccupazione in Colombia supera i 10 milioni di individui, in un paese di 45 milioni di abitanti di cui circa 25 compongono la popolazione economicamente attiva.

Questo impressionante dato, è il risultato di 8 anni di una politica selvaggia, neoliberista, imposta dall’oligarchia colombiana sotto la presidenza del narcoparamilitare Uribe, che ha portato ad una vera carneficina dei lavoratori, nel senso figurato (smantellamento dei diritti sociali e sindacali, peggioramento della qualità dell’impiego, distruzione degli ammortizzatori sociali, crisi economica) che in quello letterale (in questo periodo la Colombia è sempre stato il paese in cui sono stati assassinati più della metà dei sindacalisti uccisi in tutto il mondo, attraverso l’impiego del terrore statale-paramilitare).

Con la prossima gestione Santos (J.M.Santos si insedierà ufficialmente sullo scranno presidenziale il prossimo 7 agosto) non si può immaginare alcun miglioramento della situazione, bensì un suo progressivo e ulteriore peggioramento. Anche in conseguenza del fatto che egli, non solo è un autentico rappresentante di quell’oligarchia santanderista che ha fatto del disprezzo dei lavoratori la propria bandiera ed il proprio “sigillo di garanzia”, ma anche perché è già in atto il tentativo di occultare tale politica di guerra al lavoro attraverso l’impiego di un linguaggio truffaldino, ispirato alla “terza via” di Tony Blair, e l’insediamento di un burocrate traditore degli interessi dei lavoratori ed ex-sindacalista filopadronale, quale Angelino Garzón, come vice-presidente.

Si tratta di proseguire la stessa politica, cercando di confondere, meglio di come ha fatto Uribe, in merito all’autentica condizione in cui versa il paese reale.

Se a questo si aggiunge il fatto che, durante l’era Uribe, Santos si è distinto per le proprie inclinazioni belliciste e guerrafondaie, non si può non concludere che soltanto la mobilitazione organizzata di strati crescenti di popolazione colombiana potrà materializzare quell’alternativa popolare al potere oligarchico, di cui la stragrande maggioranza dei colombiani ha urgentemente bisogno.

Il nuovo parlamento colombiano e’ illegale ed illegittimo

A quattro mesi dallo svolgimento delle elezioni-farsa per la Camera dei Rappresentanti ed il Senato colombiani, regna ancora la confusione più assoluta in merito all’esito delle stesse.

Su 266 seggi disponibili per il Congresso ne sono stati assegnati finora solo 78; in compenso, gli enti preposti alla certificazione dei risultati, come il Consiglio Nazionale Elettorale, si trovano paralizzati dall’inverosimile numero di schede da ricontare, contestazioni, ricorsi, denunce di brogli, minacce di morte. Così come la magistratura competente è stata subissata dalle inchieste da svolgere, nel mezzo di un clima da far-west scatenato dall’esercito di politicanti, arrivisti, carrieristi, opportunisti, mafiosi e narcotrafficanti, delinquenti di ogni sorta, che puntualmente si contendono le poltrone politiche con ogni mezzo, ad ogni tornata elettorale, nell’indifferenza della maggior parte del popolo, che non partecipa, disgustata, a una siffatta corte dei miracoli.

Questo è il volto della mal chiamata “democrazia” colombiana, che non è altro che una caricatura corporativa del parlamentarismo, con consistenti ingredienti dittatoriali da Stato fascista, una repubblica delle banane e della cocaina, regolata dalla spartizione, tutta interna ad una classe dominante in putrefazione, di quote di potere ottenute sulla base dei rapporti di forza tra le sue componenti. Un circo abietto nel quale i vari protagonisti in negativo si scannano fino a raggiungere un nuovo equilibrio instabile, senza esclusione di colpi.

Dalla compravendita dei voti alla manipolazione dei registri elettorali, dalla falsificazione delle schede e dal loro occultamento (post-voto) all’alterazione fraudolenta dei risultati, dalle minacce agli omicidi, dall’impiego del terrore paramilitare al traffico di droga per finanziare le campagne elettorali e la corruzione degli apparati di controllo e di sicurezza, come hanno potuto ben constatare gli osservatori internazionali presenti ai seggi.

L’occasione delle elezioni fornisce un punto di vista privilegiato per osservare le reali dinamiche del sistema politico oligarchico che domina in Colombia da decenni. Le elezioni parlamentari, mettendo in gioco centinaia di posti, sono un termometro molto fedele per valutare il reale stato dell’oligarchia colombiana. Molto più utili delle presidenziali appena concluse, che avendo da assegnare il solo posto di presidente, rendono molto più semplice e relativamente veloce il compattarsi quasi assoluto dell’arco politico sul carro del candidato principale.

Nel prossimo parlamento, che potrà insediarsi solo quando sarà stata sbrogliata l’intricata matassa delle dispute incrociate tra partiti e candidati, regnerà lo stesso stato di cose che ha caratterizzato il parlamento uscente: legami mafiosi e paramilitari pervasivi, inefficienza, burocrazia, servilismo nei confronti del capitale transnazionale e del padrone statunitense e sperpero costante del denaro pubblico, che ne fanno un potere totalmente privo di qualsiasi legittimità democratica. Una fedele espressione di una oligarchia mafiosa che ha fatto dello Stato una cosa propria, e che dirigerà una società sempre più abbandonata a se stessa, senza diritti, senza tutele, senza sovranità e con inarginabili contraddizioni sociali.

Non vi è dubbio che all’esplodere di tali contraddizioni, tutti questi personaggi scapperanno come topi dalla nave che affonda, con la stessa velocità con la quale ora si buttano, sgomitando, sul paese da depredare e sul popolo da sfruttare e sottomettere.

Consigliere di Uribe coinvolto nello scandalo dello spionaggio illegale

José Obdulio Gaviria, uno dei principali collaboratori e consiglieri di Uribe, nonché cugino del capo del fu cartello di Medellín Pablo Escobar Gaviria, è stato coinvolto nel noto scandalo dello spionaggio illegale condotto dalla polizia politica di Uribe (DAS) ai danni di magistrati, politici d’opposizione e giornalisti. L’inchiesta sulle attività illegali condotte dal servizio segreto, e che è parte integrante della politica uribista della “Sicurezza Democratica” (versione aggiornata della Dottrina della Sicurezza Nazionale, alla base del terrorismo di Stato condotto in America Latina negli scorsi decenni), si è recentemente allargata a partire dalle confessioni offerte da alcuni ex-agenti pentiti.

Secondo queste testimonianze, le “spiate” hanno coinvolto anche diplomatici ecuadoregni e si sono spinte addirittura al di fuori dei confini nazionali, intercettando il presidente dell’Ecuador Rafael Correa ed altri membri del suo esecutivo, cosa che ha ulteriormente complicato le relazioni bilaterali. Si compone quindi un altro tassello del mosaico delle attività criminali del DAS, come la già denunciata “Operazione Europa”, volta a spiare istituzioni europee, rifugiati politici e organizzazioni di solidarietà che si oppongono al terrorismo dello Stato colombiano. Insieme a José Obdulio Gaviria verranno interrogati anche César Mauricio Velásquez, addetto stampa della Presidenza, Edmundo del Castillo, consigliere giuridico di Uribe e Jorge Mario Eastman, consigliere politico. A loro carico sono emerse prove molto consistenti, secondo gli inquirenti.

Mentre il narcopresidente Uribe si spende giornalmente in sproloqui roboanti e sconclusionati contro l’insorgenza, il suo apparato politico, pezzo dopo pezzo, si sbriciola sotto il peso degli innumerevoli crimini che la sua associazione a delinquere ha perpetrato in lungo e in largo per il paese ed il continente. Un grosso problema anche per il prossimo presidente Santos, che esprime la continuità narcoparamilitare ed oligarchica rappresentata finora da Uribe.

Giornalista chiede che il consiglio d’Europa indaghi Uribe per persecuzioni e crimini di lesa umanità

Claudia Julieta Duque, giornalista reporter dell’Equipo Nizkor Radio in Colombia, ha chiesto al Consiglio d’Europa che venga aperta un’indagine sulle responsabilità del presidente colombiano uscente, Alvaro Uribe Vélez, per spionaggio e persecuzione di tutti quelli che lavorano nell’ambito della difesa dei Diritti Umani, in Colombia e all’estero. Come denunciato da Gregorio Dionis, presidente dell’Equipo Nizkor, organizzazione di difesa dei diritti umani, la giornalista è vittima da diversi anni di una marcata persecuzione da parte del DAS, i servizi segreti colombiani, che la pedinano, la controllano e la minacciano.

In una conferenza stampa tenutasi a Parigi, la Duque ha denunciato le persecuzioni del DAS nei confronti di oltre 300 persone e la diretta responsabilità di Uribe, ricordando che il Presidente della Repubblica è la massima autorità del DAS e che, come minimo, deve essere a conoscenza di quanto accade in tutte le operazioni illegali della polizia segreta. La gigantesca operazione di spionaggio e persecuzione è stata portata avanti non solamente nei confronti dei colombiani, ma anche di cittadini europei, e l’Europa deve assolutamente guardare alla realtà di quello che è successo.

Il fatto che queste operazioni siano state indirizzate contro la popolazione civile, ed in particolare contro precisi settori sociali, rende la questione ancora più grave. Come sottolineato da Dionis, ci troviamo di fronte a crimini contro l’umanità perché si tratta di vere e proprie persecuzioni sistematiche e su larga scala. Ai responsabili di tali crimini devono essere applicati i parametri usati dal Tribunale Penale Internazionale, al fine di determinare le responsabilità penali individuali.

Ma Uribe, ha ancora sottolineato la giornalista, quale terratenente, narcotrafficante e paramilitare, ha un debito enorme nei confronti del popolo colombiano. Non solo è responsabile delle operazioni terroristiche del DAS, ma dovrebbe essere indagato per la collusione con il narcotraffico e il paramilitarismo, la turpe violenza dei “falsi positivi” (giovani civili uccisi e fatti passare per guerriglieri caduti in combattimento), l’usurpazione di terre, le estradizioni, gli sfollamenti forzati di migliaia di contadini, le ingiurie, le calunnie, le menzogne, le montature, l’uso dei fondi pubblici per arricchire figli, amici e amanti, la destabilizzazione di tutta la regione andina, l’aggressione ai paesi fratelli.

La giornalista, rivolgendosi poi al governo spagnolo, ha inoltre espresso la necessità che quest’ultimo apra un’indagine sulle attività a Valencia di una falsa Organizzazione Non Governativa (ONG), nata come copertura per le azioni del DAS, il quale unico obiettivo era neutralizzare i difensori dei Diritti Umani usando qualunque mezzo umano, tecnologico o militare, arrivando persino a colpirne l’intera rete di relazioni affettive e familiari.

Le condizioni per agire contro il narco-presidente Uribe e la sua politica ci sono tutte. L’astio crescente della popolazione è evidente anche nei confronti del commediante neoeletto Juan Manuel Santos, continuatore della politica terrorista e criminale del governo uscente. Il 78 % dei colombiani residenti all’estero ed aventi diritto al voto, infatti, ha scelto di astenersi.

Quest’ennesima denuncia di intimidazioni, persecuzioni e spionaggio evidenzia ancora una volta come il governo narco-paramilitare di Uribe sia deciso a far tacere quanti vi si oppongono, anche all’estero, e ne smascherano il carattere dittatoriale e mafioso. Non solo sindacalisti, oppositori politici, attivisti per i diritti umani e giornalisti in Colombia, ma anche oltre confine ed oltre oceano, dove si intensificano le minacce e le persecuzioni da parte di un regime che, se da un lato dispone di un poderoso apparato militare, dall’altro dà segnali inequivocabili di fragilità e debolezza.