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Guerra o conflitto sociale armato in Colombia?
Alberto Pinzón Sánchez / sabato 13 settembre 2014 / Español
 

L’Insurgencia colombiana, come è facile verificare nei suoi molteplici e numerosi comunicati, ha avuto sempre come punto di riferimento giuridico-politico per la caratterizzazione di quello che è chiamato ufficialmente dal governo "conflitto colombiano", la dottrina prodotta dalla Convenzione di Ginevra, specialmente l’articolo 1 del Protocollo addizionale II, che il Comitato Internazionale della Croce Rossa ratificò così nel 2008:

Conclusione: sulla base di questa analisi (Convenzione di Ginevra 1949. Articolo 1, Protocollo addizionale II e il Diritto umanitario internazionale) il Comitato Internazionale della Croce Rossa (CICR) propone le seguenti definizioni che riflettono la ferma opinione giuridica attualmente predominante:

1 - Esiste un conflitto armato internazionale quando si ricorre alla forza armata tra due o più stati.

2 - I conflitti armati non internazionali sono confronti armati prolungati che avvengono tra forze armate governative e forze di uno o più gruppi armati o tra questi gruppi, che sorgono nel territorio di uno stato [parte negli Accordi di Ginevra]. Il confronto armato deve raggiungere un livello minimo di intensità e le parti che partecipano al conflitto devono possedere un’organizzazione minima. Parere del CICR, marzo 2008.

Inoltre, per maggiore chiarezza e comprensione della situazione colombiana, l’Insurgencia aggiunge a questa caratterizzazione una componente "storica" (che è in fase di chiarificazione) e una qualità che la definisce: è un conflitto armato, ma contemporaneamente sociale.

Tuttavia, questa unità di criterio non è stata la stessa dello Stato colombiano, dove abbonda la confusione concettuale e si fornisce un vero sproloquio teorico strutturale-funzionalista che ha dato preferenza all’aspetto militare, a scapito del suo contrario giuridico-politico appena citato, che per il suo peso e l’inerzia di tanti anni, ora sta caricando di negatività il procedere degli attuali dialoghi a l’Avana, e dove si cerca di farli cessare nel loro complesso.

Non è il momento di parlare della "ossessione anticomunista" dell’oligarchia militarista colombiana e del suo sperone statunitense, per eliminare, "via militare" l’Insurgencia, sorta dalla inclinazione all’uso della violenza politica settaria da parte del potere centrale e dalla sua incapacità (come classe egemonica dominante) di risolvere con mezzi politici il "conflitto sociale" nato dall’inevitabile e onnipresente lotta di classe, motore della società e della storia.

Ci basti solamente menzionare qui il mostruoso apparato militare, col suo corrispondente mostro giuridico di codici, costruito in Colombia negli ultimi decenni, con più di mezzo milione di soldati e poliziotti, riforniti delle ultime tecnologie di morte da USA, Inghilterra e Israele, con risorse finanziarie multimilionarie per il suo funzionamento (ad esempio 6% del PIL conosciuto) per affrontare una Insurgencia che lo stesso ministero della guerra colombiano quantifica in non più di 10.000 combattenti.

Nella sua ostinazione a privatizzare lo stato colombiano, dimostrata lungo tutta la storia della patria, cioè di utilizzare a fini privati gli enti pubblici, l’oligarchia dominante non ha potuto risolvere una seconda contraddizione storica che le ha procurato il suo dominio violento e settario, che attualmente zavorra ancor più i colloqui ai tavoli de l’Avana: la contraddizione tra pubblico e privato. E per questo abbiamo non soltanto quella che chiamiamo una "forza pubblica", custode degli interessi di un piccolo gruppo oligarchico dirigente che si è comportato nel territorio della Colombia come una forza d’occupazione straniera, che per portare a termine l’obiettivo di far fallire militarmente l’Insurgencia ha dovuto creare una "forza privata" collaterale come sono i paramilitari della famiglia Castaño e della famiglia Mancuso, ma quella che privatamente oggi come durante l’anno 2000 nel Caguán, chiede di essere "un terzo attore nel negoziato".

Cosa si risolve a l’Avana: la cosiddetta guerra in Colombia o il conflitto sociale che è armato? La risposta a questa domanda semplice ed ingenua segna il nostro ingresso come colombiani nel mondo civilizzato e tanto agognato della modernità.

I militari colombiani (la loro maggioranza) non sono più interessati come negli anni 70 del secolo passato al riformismo militare dell’Alleanza per il progresso del presidente Kennedy. Sono molto interessati, questo sì, agli aspetti definiti "tecnici" del confronto militare attuale e questo è quello che è venuto a discutere (per un bel po’) il "guerriero" generale Flórez, con la sua commissione di intelligence militare. Il problema sorge quando si parla del Partito Comunista Clandestino (PC tre) che è una forza sociale clandestina, ma esistente e reale, non un attore del conflitto come definito dal gergo ufficiale, che ha ossessionato il defenestrato generale Puyana e che con la sua cecità anticomunista identificava con il movimento sociale e politico "Marcia Patriottica", alla quale lo stato colombiano ha causato fino ad oggi più di 40 "morti" di leader sociali e popolari.

E la confusione è tale che l’incomprensibile teoria ufficiale è stata creata dallo stesso apparato di propaganda mediatica del regime che ha dato alla cosiddetta forza pubblica una vocazione riformista, per affrontare quello che chiamano il post-conflitto. Qual è la ragione per cui la macchina di propaganda del regime arriva a questa confusione teorica?

Sarebbe ideale che la cosiddetta forza pubblica della Colombia lo aiutasse a risolvere l’aspetto sociale del conflitto colombiano, non con i poliziotti robot della ESMAD e le bombe a grappolo cadute indiscriminatamente sulla popolazione civile nelle campagne e nei villaggi della Colombia; ma come una forza (non attore del conflitto come lo chiama il gergo ufficiale) che con la sua esperienza di pianificazione e esecuzione di progetti collabori con il Dipartimento nazionale di pianificazione, in quello che il gergo ufficiale chiama genericamente il post-conflitto.

Post conflitto militare o post conflitto sociale o tutti e due? Ecco il dilemma che deve essere risolto al più presto, chiarendo lo sproloquio ufficiale esistente, per continuare ad avanzare nei tavoli a l’Avana fino all’accordo finale, e non una pace negoziata o una trattativa con i guerriglieri come ufficialmente e confusamente richiesto.